Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
selva terza | 355 |
DISSOLUZIONE DEL CAOS
TRIPERUNO
Finito che fu dunque l’alto verbo,
benché infinito sempre lo servai,
disparve ’l mio Signor in un soperbo
triunfo tolto a mille e mille rai;
ma nel fuggir un sòno cosí acerbo
tonò dal negro ciel, ch’io ne cascai
come frassino o pino, il qual per rabbia
di vento stride e stendesi a la sabbia.
Vidi la cieca massa, in quell’istante
che ’l capo m’intronò l’orribil scopio,
smembrarsi in quattro parti a me davante,
ed elle sgiunte aver giá loco propio,
due parti in capo e due sotto le piante: [«Iudicet qui potest an maius sit iustos creare quam impios iustificare». Aug.]
somministrarmi sento effetto dopio,
qual puro e caldo, qual sottil e leve,
qual molle e freddo, qual densato e greve.
Vidi anco le ’ncurvate spere intorno
de la terrestre balla farsi cerchio,
che rotan sempre e mai non fan ritorno:
sol’una è fatta a noi stabil coperchio.
Ma ’l ciel d’innumerabil lumi adorno
(un solo non mi parve di soverchio)
m’offerse al fin girando un sí bell’occhio,
che lui per adorar fissi ’l ginocchio.