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selva terza | 351 |
ch’ella, te il cor ritolto avermi udendo,
subito rotte lasciaralle a dietro.
E, quant’or ti son bello e ti risplendo,
questa piú lorda e d’aspro viso e tetro
ti assalirá co’ l’insaziabil ferro
di nervo tal, ch’ogni altro li è qual vetro;
e ’n peggior stato, di cui ora ti sferro,
respinto ancideratti, e parangone [«Prudentia carnis mors est, prudentia autem spiritus vita et pax est» Paul.]
farai del gran destin che altrove serro
a te, sol d’intelletto e di ragione
bell’alma. Poi ch’ucciso morte t’aggia,
in Dio de l’opre tue sta ’i guidardone!
Pur speme né timor da te ti caggia,
ma l’una e l’altro insieme fa’ che libri;
ché chi spera temendo alfin assaggia
di me quale dolcezza lá si vibri,
ove sfrenato amor ragion non stempre,
ma sian le due vertu del senso i cribri.
TRIPERUNO
Se per cosa, Signor, di basse tempre
da voi sí largo pregio me n’acquisto,
ecco, vi dono il cuor! abbiatel sempre!
Ma (dirlo vaglia!) non piú bello acquisto
far si potria di quel ch’or faccio: averve,
o d’ogni ben bellezza, in fronte visto,
in quella fronte, onde tal foco ferve [«Iesus mel in ore, melos in aure, iubilus in corde». Bern.]
in l’alma mia, che ardendo s’addolcisce,
mentre che ’l suo del vostr’occhio si serve.
Non ho che io temi morte se perisce
ogni sua forza, pur che sempre v’ami;
e il sempre amarvi troppo m’aggradisce.