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344 caos del triperuno


del Paracleto imprime; onde ’l «Motore
del Tutto» siamo detti e «Creatore».
Or di quel nostro incomprensibil rio,
cosí soave a l’umile coraggio
(s’umile mai verrá ne’ spirti bianchi
conoscitor di noi), l’uomo novello
nasce d’animo e sangue santo e pio,
ch’avrá del mondo in man tutto ’l rivaggio. [«Non enim potest rationem hominis obtinere qui parentem animae suae Deum nescit: quae ignorantia facit ut Diis alienis serviat». Lactan.]
Né voi verrete in suo servigio stanchi,
stellati cieli e tu, nostro scabello,
ritonda terra; ma ello
s’indura contra noi l’ungiuta ciampa,
e giá si finge e stampa
di ferro e pietra statue, quell’onore
lor dando che a Dio vien, del tutto autore.
Nascon insieme l’uomo e l’alto oblio
del dritto ed anteposto a lui viaggio:
dico ’l sentier, che al fin porge doi branchi,
l’un stretto, dolce; l’altro piano, fello.
Quinci al gioioso, quindi al stato rio
s’arriva, onde giustizia in lor dannaggio
a’ tristi vegna, e tengali ne’ fianchi
téma per sprono e morte per flagello:
morte che, in un fardello
cogliendo tutti, ovunque vòl si rampa.
Nullo da lei mai scampa;
sia pur bel volto, sia pur verde il fiore,
far non può mai che morte nol scolore.
Ma guai, chi ’n mal far sempre ha del restio,
ché ogni sempre di lá trova ’l paraggio;
que’ di che mai di colpa non fûr manchi
men fian di pena ove gli rei flagello,
in fin a l’ore estreme, quando ’l fio
pagar verrammi inante ogni linguaggio,
dal ciel i destri e da l’inferno i manchi.
Pur stando in carne, lor spesso rappello: