Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
capitolo secondo | 29 |
16
Credete a me, ch’un’oncia, ch’una mica
non vi lasciò di quella il gran dottore!
Rampallo, che gli è addosso, s’affatica
urtar innanzi un tanto corridore.
Egli ch’in mente avea giá la rubrica
del breviario tutto drento e fore,
sí lieto andava in simil esercizio,
come gli frati in coro a dir l’uffizio:
17
abbassa il capo e levasi a la coda
per porre a terra il peso inconsueto;
sprona Rampallo, ed egli par che goda
andar un passo innanzi e quattro adrieto;
cade il barone su la terra soda;
scampa, gridando, l’animal discreto;
ride la turba; e il cavallier, levato,
corregli drieto ed anco l’ha pigliato.
18
Senza toccar la staffa, che non v’era,
salta quel paladino in cima al basto;
arme non have fuor ch’una pancera
di ferro tutta rugginoso e guasto,
ma di tal tempra, ma di tal minera,
ch’al becco d’un moscon faria contrasto:
è l’elmo poi sí di splendor adorno,
che ’l sol nol vide mai se non quel giorno.
19
Un baston di pollaio è la sua lanza,
di perle tutta ornata e di medaglie;
ponela in resta al dritto de la panza
d’uno ch’incontra vien coperto a maglie.
Era costui Ginamo di Maganza,
ch’armi non volse giá di carte o paglie,
ma sí di piastre; e per celarsi alquanto,
di canape vestette sol un manto;