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TRIPERUNO.

Quel spaventevol mar, che a’ naviganti [«Molle ostentat iter via lata, sed ultima meta | Praecipitat captos volvitque per ardua saxa». Virg.]
promette l’Epicuro sí soave,
solcai gran tempo in feste, gioie e canti,
fin che la gola, il sonno e l’ozio m’ave
travolto in bande ove d’acerbi pianti
nel scoglio si fiaccò mia debol nave,
che aperse a l'acque il fondo ed ogni sponda
e ’n preda mi lasciò de’ pesci a l'onda.

E l'ignoranzia d’ogni ben nemica,
tosto che ’n grembo a morte andar mi vide, [Mors peccati.]
corsevi come donna ch’impudica
con vista t’ama e col pensier t’ancide.
Quindi svelto mi trasse ove s’intrica
nostr’intelletto in quel sogno, ch’asside
fra le sirene, e dormevi egli in guisa,
che sua spezie da sé resta divisa.

Vago mi parve sí l’aspetto loro, [Ignorantia inter delitias.]
che froda in tal sembianza non pensai;
ma ciò che splende poi non esser oro
tardo conobbi e subito provai.
Un d’angeliche voci eletto coro
entrato esser mi parve, e poi mirai
cangiarsi e’ bianchi volti in sozze larve,
e il lor concento in stridi ed urli sparve.