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selva seconda 327


C on alte strida e suon di petto e mani.
I ntendo l’occhio a chi la fea gridare:
A hi! ch’io la riconobbi, ahi! cruda ed empia
L aura maligna, incantatrice e maga,
V enefica non men di Circe fiera,
P utta sfacciata, vecchia, il cui fetore
V olgea gli uomini in bestie, augelli e serpi,
S tringendo ai carmi soi l’altrui costumi.

F úlica su pel monte ansando scampa,
L o qual non piú vedere i’ puoti mai.
O vunque una sen fugge, e l’altra segue.
R atto m’avvento al fondo d’un vallone:
E eco vidi Galanta in un instante
N on esser piú Galanta, ma curvarsi
T utta ritratta, e capo e braccia e gambe,
I n una picciol forma di mustella.
N on puoti far allora, che non, ratto
V òlto in gran fuga e lagrimando forte,
S campassi per nascondermi da Laura.

D i passo in passo mi volgeva a drieto,
E rrando e qua e lá come stordito.
S tettesi la malvagia su duo piedi
T utta minace in vista e neghittosa.
R esto ancor io nel folto d’una macchia,
V edendo lei ma non da lei veduto.
C essò dunque la vecchia scellerata
T ener piú via d’avermi allor nel griffo;
O nde, quindi partita, io mi discopro
R itornando a veder ov’è Galanta.

R amparsi lungo al fusto d’un sambuco
E cco la veggio, oh quanto vaga e snella,
L eggiadra, pronta, sedula, sagace!
I o la richiamo come far solea: