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326 | caos del triperuno |
ed ogni riverenza come a vostri maggiori e come a quelli li quali sono da Dio ordinati e mandati a nostra utilitá, abbiando riguardo al divinissimo precetto di Cristo che ne comanda e dice: «Facete voi quelle cose le quali essi vi dicono e predicano che fare dobbiate; ma le malvagie opere loro, le quali essi sovente fanno, non vogliate voi fare».
— Non piú — rispose l’asino — non piú parole. Io non niego che non debbiano essere ascoltate ed ubbidite loro leggi oneste e pie, né vitupero io in tutto loro decreti e canoni o regole del ben vivere. Non sono io di coloro che forse v’immaginate, ma di Cristo e vivo e morto, al quale io servo e servire voglio nel suo dolce e grazioso evangelio, né di servirgli sarò mai sazio. Al quale cosí piangendo son astretto di dire: — O benignissimo Padre, riguarda! riguarda, o bono pastore, con l’occhio de la pietá le tue povere e deboli pecorelle, le quali tra crudelissimi lupi sono poste drento a cardi, vepri, spine ed altre viziose erbe a pascere! Ecco, oimè! di quelli uno piú de gli altri affamato e fiero, Licaone, a passo a passo, senza alcuno rispiarmo, tutte le caccia, le svena, le straccia, le divora. Defendile, potentissimo Signore, defendile da gli soi crudi artigli. Che...
TRIPERUNO
E ra per seguir anco il vecchio bono
G iá su l’entrar d’un poggio il qual si monta
N on senza gran sudore, quando un grido
A l tergo vienimi, rotto di dolore.
T orsi la fronte, ed ecco for d’un bosco
I o vidi una dongiella scapigliata
V enir fuggendo, ed ha chi l’urta ed ange
S empre battendo lei con aspra fune.
S tetti prima qual sasso; ma dapoi,
Q uando comprendo il viso di Galanta,
V olgo le spalle piú d’un strale in fretta
A Fúlica per trarla for d’affanni.
R ompeva la meschina l’aere intorno