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selva seconda | 309 |
TRIPERUNO, LIMERNO E FÚLICA
Triperuno. Or questo de gli altri piú sodisfarmi pare, maestro mio.
Limerno. Avrei con men durezza composto loro, se la divisione di essi trionfi in mia balía stata fusse. Onde pregoti non t’incresca udirne un altro, molto (per quello che me ne paia) de gli giá recitati men rozzo e triviale, quando che la libertade di esso tutta in me solo stata sia, dove li ventiuno trionfi, aggiungendovi appresso la Fama ed il Matto, si contengono:
Amor, sotto ’l cui impero molte imprese
van senza Tempo sciolte da Fortuna,
vide Morte sul Carro orrenda e bruna
volger fra quanta gente al Mondo prese.
— Per qual Giustizia — disse — a te si rese
né Papa mai né, s’è, Papessa alcuna? —
Rispose: — Chi col Sol fece la Luna
tolse contra mie Forze lor difese.
— Sciocco qual sei! è quel Foco — disse Amore —
ch’or Angiol or Demonio appare, come
temprar sannosi altrui sotto mia Stella. [Venere.]
Tu Imperatrice ai corpi sei, ma un cuore
benché sospendi, non uccidi, e un nome
sol d’alta Fama tienti un Bagattella.
Ma che miracolo è questo ch’ora veggio, Triperuno mio?
Triperuno. Dove?
Limerno. Quel matto solenne di Fúlica veggio a noi venire.
Triperuno. È dunque passato di Perissa in Matotta? [Soperstizia - Vanitade.]
Limerno. Costui veramente, se non fallo, ha gittato in disparte le sportelle col breviario e vole de’ nostri farse. O vecchio forsennato, che cosí inutilmente da gli soi primi verdi anni s’ha ricondutto fin a la impossibilitade di poter piú gioire di questi nostri piaceri! Oh come ha lunga barba il santo eremita! Oh