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selva seconda | 305 |
Triperuno. Questo tal comporre a l’altrui petizione difficilmente può sodisfare a coloro li quali non vi hanno parte alcuna. Ma ditemi, prego, avanti che da voi mi parta, lo soggetto de’ quattro sonetti.
Limerno. Dirottilo ispeditamente. Giá la signora non è cagione propria di questi: ma heri Giuberto e Focilla, Falcone e Mirtella mi condussero in una camera secretamene, ove, trovati ch’ebbeno le carte lusorie de trionfi, quelli a sorte fra loro si divisero; e vòlto a me, ciascuno di loro la sorte propria de li toccati trionfi mi espose, pregandomi che sopra quelli un sonetto gli componessi.
Triperuno. Assai piú duro soggetto potrebbevi sotto la sorte che sotto lo beneplacito del poeta accascare.
Limerno. E questa tua ragione qualche bona iscusazione appresso gli uomini intelligenti recarammi, se non cosí facili, come la natura del verso richiede, saranno. Ora vegnamo dunque primeramente a la ventura ovvero sorte di Giuberto; dopoi la quale, né piú né meno, voglioti lo sonetto di quella recitare, ove potrai diligentemente considerare tutti li detti trionfi, a ciascaduno sonetto singularmente sortiti, essere quattro fiate nominati sí come con lo aiuto de le maggiori figure si comprende:
GIUSTIZIA, ANGIOLO, DIAVOLO, FOCO, AMORE
Quando ’l Foco d’Amor, che m’arde ognora,
penso e ripenso, fra me stesso i’ dico:
— Angiol di Dio non è, ma lo nemico
che la Giustizia spinse del ciel fora.
Ed è pur chi qual Angiolo l’adora,
chiamando le sue fiamme «dolce intrico».
Ma nego ciò, ché di Giustizia amico
non mai fu chi in Demonio s’innamora.
Amor di donna è ardor d’un spirto nero, [«Dux malorum foemina et scelerum artifex». Sen.]
lo cui viso se ’n gli occhi un Angiol pare,
non t’ingannar, ch’è fraude e non Giustizia.
Giustizia esser non puote, ove malizia
ripose de sue faci il crudo arciero,
per cui Satán Angiol di luce appare.
T. Folengo, Opere italiane | 20 |