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302 | caos del triperuno |
D’una tenera, bianca, leggiadretta,
I ntegra onesta man elesse ’l cielo
V oi, puri guanti, ad esser dolce velo:
A ndati a lei, ch’omai lieta v’aspetta!
C ortesamente la terrete stretta,
A nzi pur calda contra l’empio gelo,
T utto, però, ch’io per soverchio zelo
H abbia di voi non a prender vendetta.
A mo l’alta virtú che ’n sé diversa
R egna piú ch’in Aracne od ella istessa
I nventrice de l’ago e bel trapunto. [Minerva.]
N é man piú dotta né piú dolce e tersa
A vvinse guanto mai, né chi promessa
O nestamente piú servasse appunto.
LIMERNO E TRIPERUNO
Limerno. Dirotti la veritade, o Triperuno: questi capoversi, non usati mai da valentuomo veruno, poco a me sono aggradevoli e a gli altri sodisfacevoli, imperocché altro non vi si trova se non durezza di senso ed un impazzire di cervello. Ma ragionarne d’un’altra cosa di assai piú importanza di questa. Confessati meco, e non vi aver un minimo risguardo. Chi fu lo compositore di que’ versi, li quali oggi furono da tutta la corte in una querza letti e biasmati?
Triperuno. Perché, caro maestro? sapeno forse come gli altri miei?
Limerno. Di che?
Triperuno. Di mastro di scola.
Limerno. Perché cosí di’: «mastro di scola»?
Triperuno. Li quali, per la varietá de’ stili da loro adoperati pedantescamente, come voglio dire, scrivono e fanno un Caos non men intricato del mio.