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300 caos del triperuno


TRIPERUNO E LIMERNO

Triperuno. Nel vero, caro mio maestro, non sono giammai tanto fastidito ed annoiato che, udendo voi e l’aurea vostra lira insieme cantare, non subitamente mi racconsoli.

Limerno. Ed io credevami tanto da la turba e volgo entro questa selva [Alludit huic operi trium Sylvarum quod Chaos Triperuni vocat.] luntanato essere che niuno, se non le querze ed olmi, avessero ad ascoltare.

Triperuno. Dogliomi essere uomo di turba e vulgare; ma, la dolcezza di vostre muse ovunque mi volgo sentendo, non men di ferro a la tenace calamita son io da quella tirato. Nulla di manco, se da me voi sète del vostro singular concento impedito, parendovi, ora mi parto e solo vi lascio.

Limerno. Solo non è chi ama, anzi de’ pensieri ne la moltitudine sommerso! Io sopra ogni altro veggioti volentieri, Triperuno mio. Vero è che lo essermi da la consueta nostra compagnia distratto potevati accertare che da me dovevasi far cosa la quale fusse da essere secreta. Io, come tu sentisti, cantai testé una canzone, li cui capoversi non vorrei giá ch’uomo del mondo avesse notato, ché ’l gentilissimo spirito, di cui sono (giá molto tempo fa) umile servitore, non men ha cura de l’onorevole suo stato che del comun obietto di questo nostro amore. Dimmi dunque: hai tu lo nome suo compreso?

Triperuno. Non, per il dolce groppo di mia Galanta!

Limerno. Non senza molta cagione ricondutto mi sono a l’ombra di questo lauro, lo quale, tanto agiatamente difeso da queste duo collaterali querze cosí da venti e procelle come da’ raggi de l’ardentissimo sole, al sopranominato giovene con le sue sempre chiome verde fa di sé gratissimo soggiorno. Ma dimmi, se’ l sai, questi doi versi latini, li quali nel tenero scorzo di esso lauro tu vedi quivi intagliati essere, chi fu lo sottil interpretatore di essi?

Triperuno. Isidoro.

Triperuno. Isidoro Chiarino?

Triperuno. Esso fu.