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selva seconda 289


LAMENTO DI BELLEZZA

I o tratto a l’ombra d’un gentil boschetto
V idi, giacendo su la piaggia erbosa,
S tarsi donna solinga e penserosa,
T urbata in vista, col mento sul petto.
I n tal vaghezza stava, ch’ivi intorno
N é fu pianta né augel che non movesse
A lei mirar e seco ne piangesse.

I' mi le appresso e per veder m’abbasso.
V idila troppo, aimè! ché, alzando il viso,
S i mi scoperse in lei tal paradiso,
T al, dico, che mi fece d’uom un sasso.
I n me si volse e disse: — Fa’ ritorno,
N é star qui meco ove star sola deggio
A pianger quel che, tarda, in me correggio.

I l dolo amar che piú sempre si acerba
V ien d’alterigia molta e troppo orgoglio; [«Fastus inest pulchris sequiturque superbia formam». Ovid.]
S on bella, come vedi, e mi raccoglio
T utta sovente in donna, ma soperba
I nalzo lei cosí, che ’n questo scorno
N e son rimasta, onde l’alta bontade
A ma suppor l’orgoglio ad umiltade.

I n queste bande su dal primo cielo
V ols’egli in scherno mio, ch’un’alma stella
S cendesse umile assai di me piú bella.
T ant’ella è piú gentil quant’ha piú ’l velo
I n cerco de ligustri e rose adorno.
N acque non per mostrar quant’è bellezza,
A nzi, benché sia bella, lei disprezza.

T. Folengo, Opere italiane. 19