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selva seconda | 285 |
al primier assalto la vede, subitamente vien constretto a prorompere in coteste simili parole:
Or non piú fama, or non piú ’l sparso grido
l’unica sua bellezza mi dichiara;
ché, mentre agli occhi nostri non fu avara, [«Anceps forma bonum mortalibus. Exigui donum breve temporis». Sen.]
vidila sí, che cosí ardendo i’ grido:
— Per l’universo non che ’n questo lido
piú bella, accorta, pronta, onesta e rara
donna chi vide mai? quivi s’impara
nata beltá d’Amore ad esser nido. —
Però se questo e quello od altri l’ama,
maraviglia qual è? ma ben saria,
s’uom è che lei mirando non s’impetra!
Quel guardo pregno d’alta leggiadria,
quel dolce riso anco nel cuor mi chiama:
— Costei sola del ciel le grazie impetra!
LIMERNO
Ma sí come dal ciel ogni grazia in lei discese, cosí ella in me non dedignossi la sua impartire, contentandosi ch’io di lei faccia resonare voi, sollevati colli e ombrosi poggetti. Or dunque abbassativi, o verdi cime de voi, faggi ed abeti; de voi, lauri e mirti; de voi, querze ed ilici; de voi, viti ed olmi: abbassativi, dico, ad ascoltare questa mia sonora cetra, ma non bastevolmente sonora a l’altezza di quella madonna; ad udire queste mie leggiadre rime, ma non leggiadre al merito di quella dea; a sentire lo mio dirotto pianto, ma non sí dirotto che poscia l’ardentissime faci spegnere de l’affocato core! E se troppo baldanzosamente vi paio di fare mentre io dico di lei d’ogni alto stile degna, incolpate sol Amore, lo quale mi fa sovente dire quello che di tacere assai mi fôra meglio, e, sognandomi piú volte, movemi a vaneggiare quanto ora sète per udire in questa mia debil cetra: