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selva seconda | 277 |
MERLINO
Questi toi versi quantunque mi sappiano di puerizia, pur non vi manca l’arte e, per dir meglio, la veritade. Imperocché io molto piú voluntieri abitarei su lo contado di qualunque altra cittade che su quello di Ferrara, non giá perché ella non abbia tutte le bone condizioni che si ricercano in una simil terra, cosí di reggimento come di nodrimento, ma baldamente dirò che causa veruna non le occorre perché de l’aere o sia del cielo ella si debbia lodare, ché, quando la industria piú de la natura non vi avesse provveduto, guai a le sue gambe! Laonde, essendovi non so qual poeta mantoano, per un eccesso non piccolo, destinato dal signore a partirne in onesto esiglio, e giá pervenuto su l’entrata di essa, in queste parole sospirando ruppe:
MERLINUS
Insperata meis salve, Ferraria, curis,
tale sis exilium ne, rogo, quale daris!
Me non parva reum fecit tibi culpa: reatum
ex te num luerit congrua poena meum?
Noster, ais, veni; nostros quoque suscipe ritus;
vivitur humano sanguine, trade cibum!
Mantous culicis funus iam lusit Homerus; [Virgilius.]
mantous culicum tu quoque gesta cane.
LIMERNO E MERLINO
Limerno. Che quelle bestiuole siano causa per cui lo usar in Ferrara non ti aggrada, malamente te lo credo.
Merlino. Poco errore è questa tua mescredenza.
Limerno. Perché dici tu dunque la menzogna?
Merlino. Se per mezzo de la menzogna tu intendi la veritade, perché mentitore mi fai?
Limerno. Mentitore sei per certo.