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selva seconda 275


LIMERNO E MERLINO

Limerno. Ah! ah! ah! tu mi rumpi de le risa il petto con questa tua gentil Camena. Veridico filosofo ben fu quello che disse: lo ranocchio non sapersi comportare del suo fango fora.

Merlino. Non mi dar piglio a la coda, Limerno, ch’io so meglio mordere che tu pigliare.

Limerno. Non ti adirare, prego, ché d’adirarti causa non è. Giá cotal proverbio non dissi per biasmo tuo, anzi contra me solo volsi accennare, che via piú sono manco agevole a dir latino che toscano.

Merlino. Ed io similemente trovomi essere manco idonio ad ascoltare toscano che bergamasco, e questo men aggradiscemi del romano o vòi latino. Dilché se hai pur a dirne piú, ecco ai nomeri latini mille orecchie ti spalanco e sbaratto.

Limerno. Di qual nome fassi degno, Merlino mio, un uomo che ingrato sia?

Merlino. Dilli ragionevolmente «bestia».

Limerno. Cosí da bestia te ne voglio trattare uno. Or odi:

Iam geris humanos nec quidquam, perfide, vultus,
iam cole cum nemorum stirpe, ferine, nemus,
immemor accepti qui muneris infremis instar
belluae, et in nostram saevis, inique, fidem.
Prodis amicitiae foedus, nec te pudor ullus
arguit! i, pete (vir non eris inde!) feras.

Chiamavasi costui per nome Urbano; e male convenivagli veramente, ché mai né il piú scortese né il piú rozzo né il piú aspro si puote vedere di lui fra quante ville di Padoa o Vicenza si trovano. Del quale fu giá composto quella similitudine contraria:

Lucus luce carens nomen de luce recepit;
bellum, quod bellum sit minus, inde venit.
Hinc quoque te Urbanum merito appellamus, ut isto
nomine rusticitas sit tua nota magis.