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272 | caos del triperuno |
averai poi? non ti reuscirebbe meglio mangiar per vivere e, vivendo, acquistarti perpetuitade di gloria?
Merlino. Di qual gloria intendi tu?
Limerno. Di questo mondo.
Merlino. Aspettava che mi parlassi del cielo.
Limerno. Mi pensi tu forse cosí pazzo ch’io creda sopra la luna?
Merlino. Ed io di te assai manco credo; ché, volendo una fiata salir un arbore di fico ad empirmene de le sue frutta, per mia sventura venendovi abbasso, ruppimi una spalla, onde d’allora in qua non ho mai voluto piú credere sin a l’altezza de li arbori. Ma qual è questa gloria del mondo c’hai detto?
Limerno. Innamórati, raccendati, affócati, impazzisceti di qualche bella donna!
Merlino. Con diavolo impazzirmi? dòlti forse d’essere solo pazzo che me in compagnia cerchi di aver ancora? Ben doppia saria cotesta mattezza, che io omai vecchio ribambito mi cacciassi in cotal impresa. E quando pur io lo facessi, qual fama onorevole, come hai tu detto, ne conseguisco poi?
Limerno. O dolce, o soave mattezza di questo tenero Cupidine, lo quale di tanta virtude si rende ne gli amanti cagione! Voglio [Vanitas instruit crapulam.] primeramente che a grande contento siati lo gire non pur de fini e strafoggiati panni ma de costumi e gesti lascivi ornato, perfumarti le mani, lo viso, le labbra, li capelli sovente di zibetto, muschio ed altri unguenti con acque di grato odore, sforzarti di sapere ogni arte, ogni astuzietta con qualche simulata invenzione di farti o pur conservarti grato a la tua madonna, non perdonar a la borsa in feste, danze, conviti, notturne, mattinate, e qualche dono per truzzimani a lei celatamente dricciato. Ma sopra tutto per il sprono e dolce incarco di questo amoroso affetto tu sempre averai lo componer arguti versi pronto e dilettevole; laonde voglio che totalmente a la musica vocale [Delectatione opus perficitur.] tu ti abbandoni, cantando le cortesie, gli sdegni, gli atti, le parole, o in lira o in lauto o in altro soave strumento, de la tua diva.
Merlino. Non mi fa mistiero lo giá perfettamente imparato imparare di novo. Pensi tu forse, o Limerno, ch’io non sappia