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240 caos del triperuno


Oh qual mi feci a l’apparir di loro
sí grata vista e dolce leggiadria!
Mill’altre prime facce assai mi fôro
moleste in cui cangiato egli s’avia,
ché né orso né leon né pardo o toro
né cervo né animai chi chi si sia,
gradir mi puote, anzi mi fe’ spavento:
di questi doi sol ne restai contento.

Ella, succinta in abito gentile, [«Templum est super cloaca aedificatum». Sen.]
tra fiori a l’aura si rendea piú degna.
Vidi anco intorno lei (si ’l feminile
aspetto valse) con lor verde insegna,
stesi per l’erbe e fronde, Marzo e Aprile
la terra far d’assai colori pregna,
e su per folte macchie lieti e snelli
facean cantando errar diversi augelli.

Piú bello, altero, candido e vivace [«Bona domus, malus hospes». Socr.]
nullo animai di questo vidi mai;
tanto mi piacque allora, che ’l fugace
e timido desio presto frenai,
volgendol tutto ove sperava pace
in duo begli occhi, anzi potenti rai,
ch’umilemente alzati sol d’un cenno
quanto temea davanti obliar mi fenno.

Tratto dal mio voler giá torno in dietro
e di mai non partirmi da lei bramo.
Ella quel bel destrier c’ha’l fren di vetro
è giá salita, e d’un frondoso ramo
di mirto il tocca e contra un folto e tetro
bosco lo caccia. Io che pur troppo l’amo,
correndo a tergo, me ne doglio e strazio,
e luntanato son da lei gran spazio.