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selva seconda 237


C osí di que’ pastori giacque il padre,
O rbato d’esta vita, ma in ciel suso
R apito a l’altra; e l’empio mercenaro
R imase de gli armenti possessore,
V olgendo e’ be’ costumi de gli antichi [«Omnium legum est inanis censura nisi divinae legis imaginem gerat». Aug.]
P astori audacemente in frode e furti,
T anto che le sampogne e dolci rime
A ndati sonsi e d’arme sol si parla.

D eposto dunque fu lo gran pastore
E ntro d’un cavo sasso; e a quello sopra,
C armi leggiadri e rime di gran sòno
I nscritte fûrno da pastori e ninfe.
D ond’io piangendo ancor questi vi posi:

TUMULO DEL CORNAGIANNI

«E cco, del monte congrega — ciò nella
R uppe — gran pianto pel suo cor Narciso.
I l fior anti no fu sua morte fella».
T al fu ’l mio verso, ma, per téma, scuro.

TRIPERUNO

Io da’ pastori alquanto dilungato,
con quali esser mai giunto ancor mi dole,
d’un monticello in largo e verde prato
mi porto, giú, fra rose, gigli e viole;
poi dentro ad un antico bosco entrato,
tanto vi errai che sul montar del sole
si m’appresenta un’ampio e bel palaccio:
cerco l’entrata e presto vi mi caccio.