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selva seconda 231


Non fu giá pietra in quelle mura (pensi
un cor gentil ch’esser dovea la madre!)
che non s’ intenerisse ai forti intensi
gemiti del fanciullo, a le leggiadre
rime di que’ cantori. Ond’io con densi
sospiri m’avvicino al bianco padre,
col qual piangendo mi proposi allotta
non mai distormi piú di quella grotta.

Grotta gioiosa, che degnossi ’l cielo
partir de le sue cose in mia salute!
grotta felice in cui di carne il velo
intorno vidi aver l’alta virtute!
grotta salúbre, ove servato il stelo
di pudicizia nacque, tra le acute [«Veritas de terra orta est et iustitia de coelo prospexit». David]
mondane spine, il fior tant’anni occulto,
di terra uscito senza umano culto!

Poscia che i quattro spirti bianchi fine
poser al Punge lingua gloriosi,
quel da la croce, c’ha l’aurato crine,
d’avolio il viso e gli occhi sí amorosi,
l’ale tessute d’oro e perle fine,
dritto si leva in piedi con ritrosi
guardi ver’ me, stendendo la man destra,
e la croce sostien con la sinestra.

GENIO

Uomo, animale — disse — fra gli altri solo de la ragione capace, che de gli eterni piaceri con meco sei ad essere felicissimo consorte (non giá perché né tu né di tua natura alcuno giammai facesse impresa veruna per la cui dignitade ciò guadagnar si potesse, ma l’infinita d’Iddio bontade cosí a dover avvenire nel principio dispose); or odi quale e quanta verso voi uomini sia stata di lui la benevolenzia. Lo quale, da l’antico legame di perdizione per scatenarvi, giá non sofferse aver a schivo se istesso