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selva prima 217


securi pesci e rane,
questi da lontra, quelle da le biscie;
non è chi strida o fiscie
l’un contra l’altro per stracciarsi ’l pelo,
ché l’aurea etade giá scese dal cielo.
Date quiete, posti li aspri giovi,
a’ vostri armenti omai, duri bifolci,
ed a que’ fonti dolci
lasciateli appressare! né quel rivo
di voi sia alcun che piú ’l sostegna o folci,
né chi di loco a loco lo rimovi,
ché ’n questi giorni novi
non è di libertá chi venga privo.
Cantate anco, pastori, ché l’estivo
e freddo ardore non privar piú deve
di latte od appestar e’ vostri greggi!
Non piú clamosi fòri, non piú leggi,
ché ciò vita gioiosa non riceve.
O giovo dolce e leve
a l’uomo ancora, il qual sprezza fortuna, [«Vitam beatam efficiunt tranquillitas conscientiae et securitas innocentiae». Greg.]
siagli pur chiara o bruna,
ché chi vivendo non fa oltraggio altrui
securo di l’aurea stagion è in lui.
E simplicetta e pueril canzone,
come richiede il suo stesso soggetto,
fu questa mia, dottissime sorelle;
di che a voi chiama: — Non son io di quelle
che, Urania, scrivi con sí bel soggetto
e n’empi il sino e petto
ai duo novi Franceschi, l’un ch’agnelli
canta, lupi e ruscelli,
l’altro del Senator l’alta pazzia!
Ma chi fa il suo poter con gli altri stia.

FINISCE LA PRIMA SELVA

DEL TRIPERUNO.