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selva prima 211


Ché surto in piede starvi non soffersi,
anzi cascai, donde corse a comporre
Anchinia un carro, il qual meco si versi.
Su tre rotelle il carriuolo corre,
ed è, sí come io son di lui, mio guida
che al passo infermo e debile soccorre.
Di ciò par ch’Almafisa se ne rida,
che ’l legno arguto poggia ovunque poggio,
e che l’industre Anchinia è che m’affida.
Ma con le mani a lui mentre m’appoggio
ed ir con seco quinci e quindi bramo,
ecco me ’ntoppo in qualche adverso poggio;
di che sossopra il carro ed io n’andiamo:
quel resta intégro ed io n’ho rotto ’l naso,
e che ritto mi torni Anchinia chiamo.
Anchinia mi rileva, e d’ogni caso
per le percosse ch’atterrato piglio
presta ricorre de l’onguento al vaso.
Ed io, ch’oltra ’l dolor esser vermiglio
comprendo il lito del mio sangue, invoco
lei con la mano posta al pesto ciglio.
Ma quella mi risana, ed anco al gioco [Nutrix itaque fidelissima datur homini industria.]
di quel mio tal destriero mi riduce,
in fin che da me stesso, a poco a poco,
ir poscia senza il carro ed altro duce.