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selva prima 209

ANCHINIA.

Non mi toccar, Tecnilla, questa corda,
ché peggio sentirai quel c’ho sospeso
di lingua in cima. Or taci e fia tuo meglio!
Dir onte altrui né udirle voler poscia, [«Quod ab alio odis fieri tibi, vide ne alteri tu aliquando facias». Tob.]
è di pazzo costume; ma, d’angoscia
mentre sei pregna, va’ mirarti al speglio,
se vergognarti vòi piú del tuo volto
fatto di mostro per soverchia furia,
che litigar qui meco e dirmi ingiuria,
le quali di te meglio forte ascolto.

TRIPERUNO.

Eran le dua sorelle omai sí d’ira, [«Furor arma ministrat». Virg.]
per la puntura di sue lingue, in cima,
che fu tra lor per esser pugna dira.
Ma grave donna di molt’altre prima,
dolce cantando, fuvvi sopraggiunta,
la cui beltá non quanta sia s’estima.
Un’arpa con sua voce ben congiunta
fece che da le dua giá in arme prone
la gara venne tostamente sgiunta.
Latte di tigre o sangue di dragone [Feritas ad harmoniae concentum facile mansuescit.]
ben mostrarebbe aver beuto infante,
chi non saltasse udendo sua canzone!
Non è di pietra cor, non d’adamante,
non di Neron, Mezenzio, Erode, Silla,
che non si dileguasse a lei davante.
Onde non pur Anchinia con Tecnilla
lasciâr l’ingiurie fattesi, ma sono
e questa e quella piú che mai tranquilla;

T. Folengo, Opere italiane. 14