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204 | caos del triperuno |
Son io ne l’opre mie piú da ragione
che da l’industria mossa, e ’n l’aspra imago
de la viril Etia ben piú m’appago, [Ragione.]
che ’n la tua, ornata sol di fizzione;
ché quanto avanzar puoi de le nostr’opre, [Hominum industria metallorum conversionem (quod est naturae) ob avaritiam quaerit.]
t’industri porlo in grembo d’avarizia,
e fai cosí, che l’empia tua malizia
col manto mio ne gli occhi altrui si copre.
Però qual maraviglia se la fraude
di veritá sta involta ne la pelle
e se imputate a l’arte sian le felle [Liberalis ars culpa manualis industriae saepe calumniam patitur, ut patet de alchimistis.]
tue astuzie, onde Almafisa ride e plaude?
Sen ride e plaude in foggia di chi, altrui
odiando, il vede scorso in qualche scherno.
E tu quella pur sei, che ne l’inferno
t’ingegni penetrar ai luoghi bui
e trarne la cagion di tante risse,
furti, omicidii, stupri e sacrilegi:
dico ’l metallo, con cui adorni e fregi
le menti umane sí, che ’n quel stan fisse
né piú s’innalzano a specchiar il lume, [«Magnitudo pecuniae a bono et honesto in pravum abstrahit». Sallust.]
ch’io di Natura posi oltra la cima,
e men d’un’arca d’or’ si prezza e stima
un atto generoso e bel costume!
Ma perché l’ingordigia di quel mostro,
c’ha ventre e morso d’adamante e foco,
empir non puoi, ché ogni esca gli par puoco
e va fremendo in questo mortal chiostro;
tu che levarmi d’Arte il nome cerchi
e quel che Alchimia si dimanda pormi,
altri metalli in or’ par che trasformi:
oro non sono ed esser pur alterchi!
Misera che tu sei, non vedi chiaro [«Semper discentes et numquam ad scientiam veritatis pervenientes». Paul.]
ciò che fai senza l’arte sa di froda?
non vedi ben che non si rumpe o snoda
il laccio che a la gola tien lo avaro?