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202 caos del triperuno


ché, ove intervien de nostri alti pensieri
volunteroso ed avido consenso,
sí pria l’affetto e poi l’effetto immenso [Ab affectu perficitur effectus.]
cresce, ch’al fin non ha che piú alto speri.
Io sola in l’uomo tutti e’ miei concetti
lieta riposi, e non in altra cosa;
e tu, Almafisa, benché neghittosa
gli sei, non temo giá che ’l sottometti.

ANCHINIA.

Taci, non dir cosí, germana sciocca,
ch’error di lingua va né mai ritorna; [«Nescit vox missa reverti». Hor.]
troppo sei baldanzosa; e chi le corna
in ciel vòl porre, al fin giú si trabocca.
Natura non pur l’uomo, ma, piú d’uomo
se cosa altéra nasce, per la chioma
la tien al segno; egli la grave soma,
volendo o no, sen porta, umile e domo.

TECNILLA.

Sí; quando l’arte mia non vi s’arrisca [Naturae humanae incommoda qui recte philosophantur non magni faciunt.]
opporsi a quante passioni ed onte
fargli può mai quella soperba fronte,
ch’ei sotto soi flagelli s’invilisca.

ANCHINIA.

Tu fermamente, se non tutta, in parte
sei fatta stolta e garrula, Tecnilla,
la qual in foggia d’arrogante ancilla
a tua madonna crediti agguagliarte.
So ben ch’ogni pensier hai d’imitarla [Ars, in quantum potest, naturam imitatur.]
e, vòlta in tal desio, sempre la invidi;
onde, perché non mai la giugni, gridi
e latri come chi d’altri mal parla.