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selva prima | 197 |
cosí veder potea me con le rene
in terra nude, vòlto in quella parte
del ciel ove ’l suo moto si conviene,
ed ove ’l Serpe tortuoso parte [Polus quod centrum est circuli arctici. «Arctos oceani metuentes aequore tingi». Virg.]
l’orribil Orse, dove nasce il spirto
del fier Boote che non mai si parte
(qual fiume e lago, ch’aspro duro ed irto
non ferma il corso) di Callisto in braccio.
Ma non vidi poi sí d’un lauro e mirto,
anzi con altri assai di quell’impaccio
lor vidi sciolti, e con bella verdura
starsen di neve in mezzo e presso al ghiaccio,
mercé le calde gonne, che Natura [«Truncos arboresque cortice interdum gemino a frigoribus et calore natura tutata est». Ex Plin.]
lor diede per servarli eterna vita:
a lor sí mite, a noi maligna e dura!
Ma una dongella, non so d’onde uscita,
presta ne gli atti e d’abito succinta,
m’accolse in grembo, di servir spedita;
poi lunga fascia intorno m’ebbe cinta,
portatomi giá dentro una spelonca
ben chiusa intorno e di fuligin tinta.
Ver è che, d’uomo come statoa tronca
di braccia e gambe, in que’ legami resto,
e cosí giacqui stretto in picciol conca.
Onde col capo sol (ch’un’oncia il resto
mover non poscio) vòlto a lei parlava,
con quell’istesso di fanciullo gesto
qual fece altrui con Dio, quando d’ignava [«Ah, Domine Deus, ecce nescio loqui, quia puer ego sum». Hieremias.]
lingua mostrossi e proferir non valse,
dovendo predicar a gente prava.
— Chi fu la donna — dissi — cui si calse
gittarmi in terra nudo al vento e pioggia,
onde ’l mio corpo di gran gelo n’alse? —
Ella sorrise, lagrimando, in foggia
di chi nel petto amaro e dolce copre;
poi disse: — Eternamente non s’alloggia