destin, a penitenzia d’un tal fallo,
che l’uomo in grembo a morte quivi nasca:
cosí dal cielo casca [Anima rationalis hanc in miseriam devolvitur, ut mox altius se ipsam recognoscat.]
l’alma di novo fatta in scuro vallo,
dove se stessa oblia cieca ed inferma,
giá devoluta in sterco, fango e sperma.
Indi Natura, per supplicio degno,
men se gli mostra madre che noverca;
la qual ogni animal provvede contra
l'onte del tempo, dandogli sostegno.
Nasce pur l’uomo ignudo, il quale cerca [«Principium iure tribuetur homini, cuius causa videtur cuncta alia genuisse natura, magna saeva mercede contra tanta sua munera; non sit ut satis aestimare, parens melior homini an tristior noverca fuerit». Plin.]
schermirsi d’un agnello, volpe o lontra,
dal gelo in cui se ’ncontra,
ché di scampo megliore non ha copia.
Ma di squame coperti, penne e lane
per fiumi, selve e tane
van pesci, augelli e fiere. In somma inopia
sol nasce l’uomo, cui cadé per sorte
pianger nascendo e, nato, gir a morte.
Non cosí tosto un augelletto spunta
de l’uovo fora, quando a tempo nasce:
ecco s’addriccia e, con soppresso grido,
del becco l’esca piglia in su la punta,
e senza documento di chi ’l pasce
su l'orlo estremo tirasi del nido,
donde giú funde al lido
ciò che smaltisce per servarsi netto.
Non cosí l’uomo, no, ché d’ora in ora [«Oh quam contempta res homo nisi supra humum se erexerit!». Arist.]
convien di fascie fora
cavarlo, in cui legato stassi stretto,
e trarlo di sozzura e puzzo lordo,
al misero suo stato e cieco e sordo.
Or dite, prego, quand’egli mai s’erge [«Prima roboris spes primumque temporis munus quadrupedi similem facit». Plin.]
co’ l’aspetto nel ciel onde si parte,
che pria carpone de le braccia gambe
non faccia, mentre in foggia d’angue perge?