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selva prima | 191 |
GENIO.
«Alma, che per altrui difetto al varco
dubbioso arrivi e Dio ti vi destina,
or quivi entrando inchina
l’orgoglio, alzando gli occhi al ciel che carco
gira di stelle e mostrasi luntano!
Di lá scendesti, e piú non ti rimembra [«Cum igitur statuisset Deus ex omnibus animalibus solum hominem facere coelestem, cetera universa terrena, hunc ad coeli contemplationem rigidum erexit; ibi pedem constituit, scilicet ut eadem spectaret, unde illi origo est». Sen.]
qual eri avanti ’l poculo di Lete!
Ma se tornarvi brami, quelle membra,
ove tu déi corcarti a man a mano,
fa’ che raffreni fin che ’n lor s’acquete
l’uman desio che le conduce al rete
sí di legger, ove ne resti presa.
Ma strenua contesa
non sa fatica, finalmente, o carco».
TRIPERUNO.
Queste parole, in man d’un vecchio bianco,
vedendo appese di quell’uscio in fronte,
io tremai forte e tremone pur anco.
Anzi n’ho, rimembrando, a gli occhi un fonte:
ché allor, mentre per me giá si delibra
non ir piú innanzi e volgomi dal ponte,
donna m’appar accanto, che mi vibra [Iustitia Dei est, ut nullum malum transeat impunitum.]
un pugno al fianco e drieto mi flagella,
ch’avea ne l’altra man un’aurea libra.
Ritornomi a la porta, dove quella
mi piega col temone di sue pugna,
drieto chiamando sempre: — Alma rubella,
alma proterva, fa’ che non ti giugna
scamparti da colui che qui ti move
ad una faticosa e strana pugna,