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190 caos del triperuno


se chi nostr’alme spinge in questa gabbia, [«Sicut in Adam omnes moriuntur, ita et in Christo omnes vivificabuntur». Paul.]
col raggio di pietá nol dissacerba
e tempra di giustizia in sé la rabbia;
né stomaco di struzio né onto né erba,
mentre da noi per quest’ombre si viva,
è per smaltir un’esca tanto acerba.
I' non fu’ mai di tal cibo conviva,
e pur padirlo, anzi patirlo, deggio,
per cui vien ciascun’alma del ciel priva.
La qual ir non dovria di mal in peggio, [«Adam obtemperans mulieri habet tipum rationis voluptati succumbentis». Aug.]
se, al priego d’una femina, colui
morse ’l mal frutto e pèrsevi ’l bel seggio.
A che unqua nascer noi, se per altrui
fallir par ch’anco l’ira non s’estingua
divina in noi, per loghi alpestri e bui?
Ahi miser! taci e morditi la lingua,
ché maladetto fie chi in ciò s’adira:
giá Dio mai d’uman sangue non s’impingua;
anzi ama l’opre sue, contempla e mira,
e studia l’uomo a sé fatto simile
scampare dal suo stesso foco ed ira.
Ma non pensar, non che cercar, suo stile [«Plato in libris Legum quid sit omnino Deus inquiri oportere non censet». Cic.]
via troppo da l’uman pensier rimoto,
ché alto pensier non cape in senso vile.
Dunque dirò che quanto chiaro e noto
m’era dinanzi al ber de l’acque sparve,
onde fui d’ombra pieno e di sol vòto.
Eccomi sogni intorno, fauni e larve,
che mi facean per quella notte scorta,
né mai piú ’l bel ricordo dianzi apparve.
Pur mi raffronto a quella orribil porta [Utitur periphrasi circa id quod in instanti agitur.]
fiso mirando, e qui fermai lo piede
com’uom ch’entrarvi drento si sconforta,
e, fin ch’altri vi passi, dubbio sede.