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dialogo de le tre etadi 175


Corona. Questo è falso.

Paola. È sentenzia di Plinio.

Corona. Vada con le altre sue menzogne!

Paola. Negarai tu che d’ogni libro non s’impari qualche cosa?

Corona. Anzi, piú de li tristi e disonesti che de li boni.

Paola. Or basta: non sai che ’n doi mesi, e non piú, sotto il titolo di Limerno l’ha composto?

Corona. E’ viemmi detto che, tutto a un tempo che lo componeva, eragli rubato da gli impressori.

Paola. Cotesto è piú che vero; ché ove interviene stimulo di sdegno, spizziano versi senza alcun ritegno.

Corona. Potrebbe forse pentirsene, credilo a me.

Paola. Di che?

Corona. Dir tanto male.

Paola. Anzi solamente si dole che non pur Merlino, ma Limerno compose cosí precipitosamente che li stampatori non poteano supplire a l’abbondanzia e copia de’ suoi versi; laonde pargli un errore grandissimo non aver servato lo precetto oraziano. [Carmen reprehendite quod non | multa dies et multa litura coërcuit etc.]

Corona. Doverebbe via piú tosto il meschino piangere e crucciarsi aver consumato il tempo circa tanta liggerezza.

Paola. Non dir liggerezza, figlia, ché non per cosa liggera simulossi giá Ulisse devenuto essere pazzo.

Corona. Troppo son certa io de la lui malizia, il quale fingesi «pitocco» e furfante per dar bastonate da cieco.

Paola. Tu non sai la cagione.

Corona. Cosí non la sapessi!

Paola. Dimmi, qual è?

Corona. Per farci morir tutti spacciatamente di doglia, acciò piú oltra non avesse chi gli gridasse in capo.

Paola. Tu te ’nganni grossamente.

Corona. Anzi pur tu te ’nganni.

Paola. Come?

Corona. In creder alcuno dir male a bon fine.

Paola. Che male dice?