Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
10 | orlandino |
12
Signori miei, son stato in Val Camonica
per consultar le streghe di quel loco,
se mi saprebbon di Turpin la Cronica
mostrar per forza d’ incantato foco;
una vecchiarda in volto malenconica
rispose allor con un vocione roco:
— Gnaffe che sí, tu la vedrai di botto;
entra qui tosto meco, e non far motto. —
13
I' non me ’l fei ridir, ma su un montone
ratto mi vidi al ciel con gran diletto;
poi, volto il freno verso l’Aquilone,
discese in Gozia dentro a quel mar stretto
ed ivi di sua mano un gran petrone
alzando, aperse un buco sotto ’l tetto;
si trasse dentro ed io seguilla appresso,
per maraviglia fuora di me stesso.
14
Cento cinquanta millia e piú volumi
(giá non vi mento!) vidi in quella tomba,
che goti anticamente, coi costumi
de’ porci e col rumor ch’in ciel ribomba,
trasser per tanti monti, valli e fiumi
d’Italia fuor, la qual par che soccomba
a simile canaglia sempre mai:
la causa ben direi, ma temo guai.
15
Di Livio qui le Deche sono tutte,
e quelle di Sallustio assai piú bone;
qui di Turpin fur anco ricondutte
quaranta Deche in gallico sermone;
io tre di quelle provo esser tradutte
in lingua nostra per quattro persone;
solo il principio de la prima i’ tolsi,
né ’l pargoletto Orlando passar volsi.