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capitolo settimo 139


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Levátimi da torno queste corde;
se non, le rumperò sol in un scosso;
né aver al detto mio l’orecchie sorde,
perché ti veggio la ruina addosso,
dico Milon, che ’l deto giá si morde
per franger il tuo corpo d’osso in osso
e darte a’ cani te con la tua schiatta,
fin che su la radice sia disfatta. —
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Quando Rainer intende d’un infante
minacce che porrian spavento in cielo,
e che si vede un Miloncin avante,
che ben lo rassomiglia a l’occhio, al pelo,
cangiossi tutto quanto nel sembiante,
né poté far che, d’amichevol zelo
compunto, non piangesse il caro amico,
vedendo il figlio suo fatto mendico.
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Presto che sia slegato fa comando,
ed ubbedito in un istante venne.
Un capriolo parve allora Orlando,
che, sciolto, giá in quel loco non si tenne,
ma per le scale giú corre saltando,
s’avesse agli alti balzi intorno penne,
mille cittelli vannogli da tergo,
gridando sempre, fin al proprio albergo,
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ove ’l cortese damigello, in vece
di bon ministro de la madre Chiesa,
del pane tolto al frate dianzi fece
prudentemente una pietosa impresa,
dandol a que’ cittelli. — Piú mi lece,
— dicea — porger a questi la difesa
contra l’orribil fame, che dar pasto
ai musici d’Arcadia sotto ’l basto! —