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capitolo settimo | 137 |
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Verran sí duri e sodi, che spetrarli
mistier fará l’incude col martello.
— Piú tosto — parla Orlando — vo’ ch’i tarli
lo rodino che darne un bocconcello
a frate alcuno: fa’ che non mi parli
di questo, madre, piú; ch’al bel bordello
ti cacciarei, mi vegna la giandussa!
Pasto de’ frati è faba con la gussa.
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Anzi farai tu meglio star luntana,
se non ti curi crescer in famiglia;
e se vengon trovarti ne la tana,
la stanga, che sta drieto a l’uscio, piglia
e su le schiene assettagli la lana.
Fa’ ciò che ’l tuo figliuolo ti consiglia;
e se ti voglion predicar la fede,
dilli che ’l laico piú del frate crede. —
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Cosí parlando, il suo baston resume
e corre a la cittade apertamente:
ecco li zaffi, com’è ’l suo costume,
in frotta l’han pigliato immantinente;
tutto legato stretto in un volume
portano lui di peso leggermente,
lo qual si scote per spezzar le corde,
ed a chi ’l porta spesso il collo morde.
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Or finalmente l’han condotto innanze
al padre d’Olivier, signor del loco:
— È questo — disse — quel c’ha tante sanze
e teme il mio valore cosí poco?
Or si comprenda che le sue possanze
son come neve al sole e cera al foco!
Ponetilo giú in terra. Dimmi, frasca,
non sai ch’al fin la volpe in laccio casca?