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Ma qui diverte e narra il gran dottore,
sí come di Pavia re Desidéro,
udito d’arme in aere il gran rumore,
perché Agolante vien per tôr lo impero
di Europa a Carlo e farsene signore,
mandagli prestamente un messaggero
per farsegli compagno, e Italia poi
soggiugar tutta a’ longobardi soi;
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e come qui Milone capitando
trovò sotto Appennino entro le grotte
un popol infinito, ch’aspettando
dal ciel aiuto, s’erano ridotte
per trarsi omai di sotto a quel nefando
re Desidéro e darli tante bòtte,
che sia poi specchio a gli altri tramontani,
che non s’impaccin mai con taliani;
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quivi Milon, orando lungamente,
trasseli for di tenebre a la luce:
la qual ben ordinata e bella gente
in un vallon de Insubria riconduce:
e come una cittade grossamente
edificaro e di Milon suo duce
le diero il nome; dopo il volgo insano
non piú «Milon», ma l’appellôr «Milano».
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Quel gran Milan, ch’a tradimento e forza
vien tolto spesso da li tramontani
al nostro talian signore Sforza,
onde sempre con lor siamo a le mani,
facendoli lasciar drieto la scorza,
che poi mangiati son da’ lupi e cani;
e ben scriver si pote su le mura:
Italia barbarorum sepultura.