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capitolo sesto | 119 |
48
Taccio la fame e sete e il caldo grande
e lo timor de’ stupratori e ladri,
che soffre la meschina in quelle bande,
ove son molti boschi orrendi ed adri.
Mangia sovente more, cornie e giande,
come facean gli antiqui nostri padri;
acque, se non di fonti, almen de stagni
convien che sorba, e poi ch’altr’acqua piagni.
49
Per che sempre facendo aspro lamento
miseramente va contra fortuna:
pur finalmente giunse a salvamento
(sí come dissi poco avanti) ad una
spelunca, ove trovò che molto armento,
venendo notte, un pecoraio aduna.
— Deh, padre caro — disse, — abbi mercede
di me, ch’omai non posso star in piede! —
50
Quel vecchio allor di somma cortesia
lascia le capre e lei benigno accolse;
onde ne vegna o vada o che si sia,
in quel principio chiederla non volse;
ma dolce, umano e lieto tuttavia
ch’ella riposa, un suo scrignolo sciolse;
trassevi pane, cacio e molte frutta,
e l’umile sua mensa ebbe costrutta.
51
Berta c’ha fame, e drento chi la sugge,
dico lo giá di dieci mesi infante,
a quelle rozze fercole confugge,
che ’l bon pastore l’arrecò davante:
quivi la fame e gran dolor sen fugge,
ch’avea del suo perduto caro amante,
e benché stia sospesa e in volto smorta,
pur, tolta l’esca, molto si conforta.