Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
capitolo sesto | 117 |
40
Or sola in quel vasello va sbalzando
la pudica donzella su per l'onde.
— O sommo Dio — parlava lacrimando, —
porgimi la tua man, che non s’affonde
l'infermo legno! Non che il mio nefando
viver né le mie colpe lorde immonde
mertin pietá; ma quella creatura
c’ho in ventre, o Padre Eterno, rassicura!
41
Da te ricorro, non a Piero o Andrea,
ché l’altrui mezzo non mi fa mistero:
ben tengo a mente che la Cananea
non supplicò né a Giacomo né a Piero.
A te, somma bontá, sol si credea;
cosí io sol di te sol, non d’altro, spero.
Tu sai quel ch’èmmi sano ovver noioso:
fa’ tu, Signor, ch’altri pregar non oso!
42
Né insieme voglio errar col volgo sciocco,
di soperstizia colmo e di mattezza,
che fa soi voti ad un Gotardo e Rocco,
e piú di te non so qual bove apprezza,
mercé ch’un fraticello, al dio Molocco
sacrificante spesso, con destrezza
fa che tua madre su nel ciel regina
gli copre il sacrificio di rapina.
43
Per ciò che di pietá sotto la scorza
fassi grande vendemmia de dinari;
e co l’altare di Maria si ammorza
l’empia ingordigia de’ prelati avari.
Ed anco la lor legge mi urta e sforza
ch’ogni anno ne l'orecchie altrui dischiari
le mende mie, ch’io son giovin e bella;
e il fraticello ch’ode, si flagella.