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né di Milon, il qual dopo la morte
sanguinolenta di que’ tapinelli,
ebbe fortuna tal, che le ritorte,
arbore, vela, remi, arme, vaselli,
lo stesso legno al fin andò per sorte
del mar in preda, e con i soi fardelli
li mercadanti al fondo si trovaro,
né lor scampò la copia del dinaro.
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Pur animosamente il cavalliero,
trattosi l’arme, nudo come nacque,
buttossi di fortuna ne l’impero,
di qua di lá sbalzato per su l’acque.
Al fin giunse in Italia, ma, leggiero
di forze e panni, su la rena giacque;
poscia, levato da non so qual fata,
seco sen stette e l’ebbe ingravidata.
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Di costei nacque il principe Agolaccio,
come ’l dottore in la sua Deca scrive;
ma ritorniamo a Berta che, in impaccio
di quel fellone, non sa come ’l schive:
egli giá se l’avea recata in braccio
per adempir le voglie sue lascive;
la donna che schermirsi piú non puote,
d’un suo coltello sotto lo percuote.
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Ché, mentre finge aprir le gambe a quello
ed al giostrar corcarsi agiatamente,
cacciògli ne le viscere il coltello,
raddoppiando de’ colpi virilmente.
Quel misero ferirla volse anch’ello
d’un suo pugnale, ma il dolor repente
di morte l’impedisce; e Berta in mare
spinselo fora, e s’ebbe a conservare.