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capitolo sesto 115


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corre a veder la causa di tal voce;
ma risospinto fu da trenta indrieto:
pensate s’ira e sdegno il cuor gli coce,
vedendo farsi un atto sí indiscreto:
ma l’arroganza le piú volte nòce.
Salta Milon in mezzo di quel ceto
e vi comincia a dimenarsi intorno,
quantunque fusse giá sparito il giorno.
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A cui la testa, a cui la spalla fende,
a cui lo braccio, a cui la gamba tronca:
Berta contra Raimondo si difende,
ché a caso in man venuta gli è una ronca;
ma quel rubaldo in un battello scende,
dietro le poppe, simile a una conca;
quattro famigli allor prendono in fretta
la donna e giú la mandan in barchetta.
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Assai contrasta loro, e pur si vede
al fin Berta d’un ladro esser prigione.
Chiama piangendo su dal ciel mercede,
poiché l’aiuto è vano di Milone;
lo qual mentre cervelli rompe e fiede,
giá presso al fin de l’aspra occisione,
la grossa nave per libeccio vola,
ma la piccina drieto resta sola,
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perché tagliò la fune il fier Raimondo
di quel schifetto, allor che l’ebbe drento;
e mancò poco non andasse al fondo
la picciol barca, giá ingrossando il vento.
Or qui scriver non vogliovi, secondo
Turpin, diffusamente qual evento
fu di Milone o di quel mago Atlante,
che allor allora sparve in un istante;