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capitolo sesto 113


24
Quant’era meglio che ’l conte Milone
lasciato avesse Berta nel suo letto!
Carlo testé gli rende ’l guiderdone,
ché sua famiglia tutta per dispetto
distrugge in ferro e foco; ma un leone
è per stringer a lui la gola, il petto:
piú non avrá l’ardir di Chiaramonte,
che ’l scampi da le man d’un fier Creonte.
25
Novo Creonte in queste parti viene
per spander tutto il cristiano sangue.
Carlo fia ’l primo che volga le schiene
al negro tòsco e al fiscio d’un tal angue:
non gli varrá gridar: — Chi mi sovviene? —
Le membra stanno mal, se ’l capo langue.
Italia, Franza, Spagna ed Ingleterra
Cupido e Marte gitteranno a terra.
26
Ahi, maladetta stirpe di Maganza,
ch’or godi e canti per l’altrui dolore!
Non sperar giá (ché falsa è tal speranza)
gioir troppo luntan di quel favore,
posto ch’abbi scacciato for di Franza
di Chiaramonte la radice e ’l fiore:
volge la rota, ma ’l destin è fermo,
ch’al fin a tua ruina non fia schermo.
27
O stelle, o punti, o troppo tardi segni,
che prometteti al mondo un sí bel sole,
aprite, ch’oggi è tempo, i raggi pregni
a l’aureo seclo, a l’aspettata prole!
Nascan li quattro di vertú sostegni,
per cui rumor eterno al mondo vole;
nasca quel forte Orlando, alto coraggio,
Rinaldo, e ’l mio Ruggier, Guidon Selvaggio!

T. Folengo, Opere italiane. 8