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112 orlandino


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Ora per soddisfar al suo dimando,
ch’è di saper quel che sapendo poscia
ne pianga, odendo l’impeto nefando
(non credo piú nefando esser mai poscia)
di Carlo, anzi Neron, in ciò che ’l brando
cosí vibrò, ch’ancor al ciel l’angoscia
e gli urli van per l’empia occisione
d’uomini fatta in scherno di Milone:
21
— La causa che m’indusse (poiché attenti,
vostra mercé, vi veggio, vo’ fondarvi
assai piú innanzi miei ragionamenti)
venir in Francia e poco tempo starvi,
fu la prolissa guerra, i fier lamenti,
la trista occision de’ grandi e parvi,
che ratto dé’ patir la vostra Europa
da gente tartaresca ed etiopa.
22
Chi fia di tanto mal cagion? Amore,
amor che sempre fu la peste lorda
de’ miseri mortali. Ah, in quant’errore
ci spinge questa fiamma tant’ingorda!
Odo giá l’alte strida, il gran rumore
d’arme, ch’aggira in foco e ’l ciel assorda;
ché dove fischia Amor, cosí fier angue,
subito appare ferro, foco e sangue.
23
Giá si rinnova quel furor vetusto
che ’l mondo trasse quasi al primo Cao,
quando ’l lascivo Paride ed ingiusto
chiamossi drieto l’empio Menelao,
il quale tutta l’Asia ebbe combusto,
ove Patroclo, Ettòr, Protesilao,
Achille, Troilo ed altri capitani
restaro tra un milion d’uccisi ai piani.