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capitolo sesto | 111 |
16
Ma ’l nigromante, degno di gran lodo,
oprar non sa, se non in ben, tal arte.
Fauni, folletti ed incubi, che ’l vodo
cerchio tra ’l foco e terra e la gran parte
tengon del centro mezzo al nostro sodo,
tutti scongiura a sue sacrate carte;
demogorgoni ed arpie, fate e strige,
sepolcri, ombre, sibille, caos e Stige.
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Sa quanto alcun mai seppe d’erbe o piante,
non d’aconito pur, tasso e cicute,
ma mille e mille che furon innante
non mai da nigromante alcun sapute.
Taccio ’l magnete, ferro ed adamante;
sa di metalli e pietre ogni virtute;
onde nascoso tien d’argento e d’oro
ne’ monti di Carena un gran tesoro:
18
ne’ monti di Carena entro le grotte
sta ’l seggio suo di smalto e sasso fino.
Atlante ha nome, che di mezza notte
d’una Sibilla nacque e di Merlino.
Or con turbato cor e voglie rotte
lasciato avea de l’Africa ’l confino
per un anello, il qual fece ad Almonte,
che poscia gli dovea far danno ed onte.
19
Or dunque, posto ch’egli sol per arte
saper potesse aver anti Milone,
noi sa però, ché rado apre le carte
de’ spirti rei, se non per gran cagione.
Ver’è che dianzi Giove opposto a Marte
dissegli che di lui nasce un barone,
il qual, «Orlando» detto, non avria
egual d’ingegno, forza e cortesia.