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capitolo sesto | 109 |
8
Ma, giunti al porto, trovano ch’un grande
legno si parte verso Italia in fretta.
Accostasi Milone, e su vi scande
con la compagna e lascia la barchetta.
Non è chi lui conosca o chi ’l dimande,
e pur d’esser compreso ivi sospetta.
Sta sempre armato e porta cinto ’l brando,
come sòl far chi a taglia posto è in bando.
9
Giá Febo l’aurea testa in l'onde attuffa
e lascia il freddo lume a la sorella,
quando pel vento che ’n le poppe buffa,
«issasi ’l velo», come ’l volgo appella.
Quel grave legno, spinto, l'onde acciuffa
e rumpe ’l mar che intorno gli saltella,
fa nove miglia o dieci in men d’un’ora
e fende ciò che incontra l’alta prora.
10
Soldati, mercadanti, preti e frati
eran con altra gente in quel naviglio:
chi guata il fier Milon da gli omer lati;
e chi ’l bel volto candido e vermiglio
di Berta, c’ha d’amor i gesti ornati,
contempla sí, che dálle giá di piglio;
ma la presenzia di Milon robusto
tiene in cervello ogni lascivo gusto.
11
Or un signore v’era di Calábra
con trenta ben armati soi famigli;
brama di Berta egli basciar le labra
e aguccia, per rapirla, giá gli artigli.
Milon non sa quella sua mente scabra,
bench’egli co’ compagni si consigli
e l’un con l’altro parli ne l’orecchia,
ché ognun nel ben altrui sempre si specchia.