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avea tolto tanto incarico, anzi di ridurcele, come si presumea, in quella leggiadria di quelle dell’Ariosto, non volse piú oltre seguire per sua modestia e per non parere che volesse concorrere, abbassandosi molto piú forse di quello dovea fare. Ma poi, vedendo tal opera tutta tramutata, volteggiata e fatta lontana dalla prima, e che il titolo primo in fronte del libro totalmente levato era dal Boiardo ed imposto ad altro autore, non puoté non sdegnarsi amaramente contra tanto ardire. E quando il bel principio vidde tramutato, ebbe compassione all’autore di quello, che piú tosto ha reso biasmo a se stesso che laude, non sapendo forse egli che ’l conte, componendo la opera sua in quelli tempi che erano smarrite le regole della grammatica toscana, ogni giorno ne recitava un canto al duca di Ferrara, alla duchessa e tutta la corte dell’uno ed altro sesso. Però cominciò il suo bel poema:

Signori e cavallier che v'addunate.

Per questo dunque se mise il nostro Merlino a seguir l’impresa lasciata, e dove gli parea che il detto poeta limato e racconciato avesse assai bene le cose non cosí leggiadramente scritte, ha voluto dar questo onore a lui, molto piú grande che lo scorno contratto in volersi far autore di quello giamai fatto non avea. Or dunque abbiamo trovato questa altra bella fatica, e presto col suo onorato titolo verrà in luce, non senza laude di quel poeta, uomo invero di molto ingegno. Ma per tornar finalmente a parlamenti piú giocondi e festevoli, dico che1 era pur cosa sconvenevole il perdere una opera di Merlino da lui fatta cosí bella, cosí vaga, cosí piacevole; e forse maggior danno fòra suto che se anticamente si fosse perduto Vergilio, o pur ne’ tempi nostri Dante e Petrarca. Peroché non altro d’aver perduto Vergilio ne seguiva che la perdita di un buon poeta in una lingua, la quale rimaneva in molti altri che ben la parlavano e meglio vi scrivevano. Cosí dico di questi scrittori della lingua tosca, la quale non è però altro che una lingua sola e da altri belli ingegni, come ogni dí si vede, con loro scritture adornata e tersa. Ma perdersi questo (o Dio, che danno incredibile!), si perdeva un bellissimo ed ingegnosissimo autore di molte lingue insieme.

  1. È a cominciare da qui che Vigaso Cocaio ha incorporato nella sua prefazione la lettera di Niccolo Costanti, che nella Cipadense sussegue all’Errata-corrige e chiude il volume [Ed.]