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Egli, che asside a quei liquori santi,
d’indi sovente trailo e lo vi torna,
sazio non mai di variati canti.
Molte le stelle sono, e non aggiorna
se non sol una come ancor la notte;
se non sol una illustraci le corna.
Molti che scrivon son, che in gli antri e grotte
fur di Parnaso e bevver; ma gli eletti
e rari a noi del volgo dan le botte.
Però quei soli vanno ad esser letti ;
e noi come abortivi stiamo ascosi,
ché l’eccellenzia lor ci rende abbietti.
Quanti d’amor han scritto, e sono esplosi,
ché il pover lor giudizio non attese
a’ rai di quel del lauro luminosi.
Quanti di guerre, che il gran ferrarese,
fuor che il suo mastro ed altri duo. vilmente
a far coperchi agli orcioletti rese.
Ma, s’alcun forse, avendo stil decente
d’ornarne un bel soggetto inusitato,
come si sempre adescasi la gente,
del ver s’appone a celebrar lo stato,
cacciando i sogni lunge e le chimere,
con che hanno i nostri lui sempre adombrato
(ché i vani giudicáro senza mere
favole loro il porre Cristo in carte
non esser grato e men poter piacere);
se tale avrá giudizio presso all’arte,
onde proceda il variar a tempo,
questo fía letto a pieno e non in parte.
E, se per esser nuovo, ed in quel tempo,
che in Tossa vive, ancora dispiacesse,
non gli ne incresca: piacerá col tempo.
Cosi pretendo io far. Ma troppo eccesse
questa digressioni troppe son Torme,
che fuor di strada il mio cavallo impresse.