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Palermo intanto agli occhi miei li suoi,
tacendo, giunse con le arcate ciglia;
105poi disse: —Oh gran ventura d’ambi noi!
Fu al ciel di sopra ordito che Siciglia
e tutto il suo contorno e le ricchezze
reggesse un cavalier di gran famiglia,
reggesse con giustizia, e le prodezze
jio alte sue ognora usasse in ben di lei,
nudrendola d’onori e di grandezze.
Di lui sia il nome in capo ai pensier miei,
oh del gran Carlo gloria, oh d’alti onori
grave latino e carco di trofei,
115oh d’Arabia terror, di turchi e mori,
nanti al cui terremoto Atlante e insieme
Zibeltarro e Marocco han freddi i cuori!
A noi tocca d’alzarsi alle supreme
grazie, per riferirle a Carlo, ch’esso
120ama Siciglia sua, non l’ange e preme. —
Cosi Palermo scorse, ed in successo
di tempo intesi quel ch’allor non puoti,
ed hollo in marmo e piú nel cuor impresso.
L’aquile, ch’eran quattro, e i fregi noti
125per la vermiglia croce in campo bianco
m’empièr di saper loro i caldi voti.
Stette Amaltea, che all’uno e l’altro fianco
le nove ninfe avea, le quai con ella
cantar si ben, che non si ben unquanco.
130Or che dell’universo rinovella
l’ordine a capo, la fuggita Astrea
ritorna piú che mai cortese e bella.
La prima giá, che biancheggiar solea
dell’innocenza con un parto nuovo,
135discende a ripurgar la gente rea.
Colui, che scosse ii mondo dal priin’ovo,
nasce mortale, e tu, Lucina casta,
Vergine Madre, dá’ favor, che il giovo
di servitú giá il tuo sol rompe e guasta.
T. Folkngo, Opere italiane - IH.
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