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Cosi quel pien di spirto a un tratto torse
il mozzo ragionar, per cui dagli occhi
105piú d’una calda lacrimetta corse.
Poscia, tacendo, accennami ch’adocchi
la sibilla eritrea, che fra due rote
rade le stelle e par ch’indi trabocchi.
Urta l’arpia, la punge, la percote:
io strid’eila, e fa qual bue contro il bifolco
ch’oppugna il giogo e mai non se ne scote.
Corre celere, e dritto mena il solco,
eh’è uccello tutta, fuor la bella faccia,
qual ebbe Circe o la sorella in Coleo.
115Cruda beltá, che il cuor via piú t’agghiaccia
che non lo scalda, in donna spesso vedi
né intendi la cagion perché ti spiaccia.
Tai fur le due, tal fu l’arpia, che i piedi
ornai distende al destro suo cammino.
120Canta Eritrea ver’noi del ciel eredi:
— Nella piú estrema etá Dio, basso e chino,
per salvar l’uomo, anch’uomo egli farassi,
non sendo in terra men che in ciel divino.
Candido agnel sul fieno corcherassi,
125cui vergine fia madre, eli’è figliuola:
poi, grato, in predicar innoverá i passi.
Schiuderá solo di virtú la scuola;
e i buoi, che intorno all’Orsa tránno il plaustro,
stupidi a novitá si rara e sola,
130quando a! levante andranno, quando all’austro. —