Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/212

Fuor un ridente prato appar col molto
e vario bel fiorir: ma, voi, fuggite,
fanciulli miei, ché l’angue vi è sepolto!
Frattanto genti assai, come invaghite
35di novitá, vernano alla cittade
da ville, borghi ed oppidi partite.
Chi va, chi vien per piazze, campi e strade;
ciascun è di veder tre re bramoso;
cosa onorata e che di rado accade.
40S’appara un gran convito e sontuoso,
e tiensi dal tirán bandita corte,
il volgo è piú che mai licenzioso.
Aperti in questi di stann’usci e porte;
non è pertugio nel palazzo e tomba,
45ch’entro a guatar ognun non vi si porte.
Fansi piú feste, e l’aria ne rimbomba:
qua vanno i pazzi ad incitar il toro,
lá romper lance e teste a suon di tromba.
Tutto era fatto parte da coloro
50ch’intendon esser nato il Re promesso,
non strano e sporco, ma del ceppo loro;
parte fingon apposta giuochi, ch’esso
finger lor fa, per chiuder il partito
giá preso in cuore e ben tenerlo presso.
55E, mentre ancor procede il gran convito,
vi fa chiamar un volgo di dottori,
ch’avean da lui pria la cagion udito.
Vengono quelli, e sono de’ peggiori,
ché raro a verno i buoni, e quei comparsi
60stan sulle strade e del palagio fuori.
Non per alcuna guisa voglion darsi
con lorda nazione e che dissenta
dai riti lor per non contaminarsi.
Stanno, dico, da venti mastri o trenta
65fuor delle porte, e attendon sulle slrate
infin che il Mése lor d’entrar consenta.