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CANTO IX

Conclusione delle virtú, e che la veritá tolga la croce.
Tosto che l’aversaria di menzogna
disse a Giustizia, troppo allor severa,
che il suo rigor non le facea bisogna,
alzò l’ardita fronte quell’altiera;
5— E perché — disse — senza lui ti metti
a voler giú calar tra gente fiera?
E perché i pravi e d’ogni morbo infetti,
sendo persona eguale all’altre due,
col mio rigore a te non sottometti?
io Ché s’a lui miri ed alle forze sue,
egli fa tanto, che piú dir non voglio,
mestier quant’altra cosa all’opre tue.
Ch’io il leghi alla catena in cavo scoglio
non so pensare a che, se mi rimembra
15quel ricapriccio dell’uman orgoglio,
quando, lá dove Eufrate un mare assembra,
per gire al ciel fecero gran contesa
quelli ch’avean le gigantesche membra.
Ond’io, che vidi me si vilipesa
20e si da lor stimata o nulla o poco,
lasciai, per cui mandasti me, l’impresa.
L’atto però non parveti da gioco,
avendone poc’anzi esempio e norma
d’angioli, ch’ésca son d’eterno foco.
25Mercé il rigor, che chiuso or vuoi che dorma,
si veramente il ventre allor si scalpe,
quand’esso il guasto mondo ti riforma;
siccome ai giorni di Noè, che l’alpe,
per celse che si fosser, quel feroce
30mandò sott’acqua e fe’ sbucar le talpe.