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Pazza e superba, i saggi suoi privati
di senno lascia, come lor scritture
105gli mostran esser orbi ed insensati.
Prendo a mirar talor le creature,
e quelle piú di vostre doti altiere,
di lettre, d’artifici e d’armature.
Veggoli andar chi gravi di bandiere,
no chi mostri a dito come saggi e dèi;
ma senza me fur ombre e larve mere.
U’son quei Scipi, Cesari e Pompei?
u’ quanti e quai di senno e d’arme andáro?
u’ li Zenoni, Socrati e Mosei?
115u’ son d’Egitto i maghi e chi solcáro
tutto il mar dell’insania, mentre cani,
talpe, cicogne e nottole adoráro?
Ben troppo ebber audaci piedi e mani
per aggrapparsi all’ardua salita;
120ma risospinsi lor com’ebri e vani.
Fu sol per gloria in quei virtú gradita;
e quant’era uom piú dotto universale,
piú da me cadde giú senz’ulla aita.
Il caso di colui sol è mortale,
125ch’essendo di dottrina pien, ma cieco,
ascender vuole piú ch’affidan l’ale.
La Sapienzia (non costei, che meco
vedete unirsi come a Febo il lume),
quella che innalza il sopracciglio greco,
130infín a qua soffersi; e il suo costume
or io le impaglierò non senza guerra,
ché volar osa e scuote invan le piume.
Dacché per me Dio fabbricò la terra,
che a sé sostegno sia, che a sé sia pondo,
135a questi di l’aspetto mio si serra.
Degno non fu di contemplarlo il mondo;
però di scender giú son risoluta
e farmivi vedere a tondo a tondo,