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CANTO II

Parlamento del Fanciullo alla malvagia Babilonia.
Cosa d’alto stupori un molle infante,
nasciuto di tre di, non atto ancora
dir «tata» e «mamma» e starsi sulle piante,
ecco si scuote dalle fasce fuora,
5cavalca l’asinelio, e a gran giornate
va pel deserto e mai non si dimora.
Giunge alla gran cittá fra Tigri e Eufrate,
c’ha colmo il sacco e tien le sante chiavi;
io cércavi piazze, colli e lunghe strate.
Concorron tutti, avvenga ch’abbian travi
grossi negli occhi, a quel Fanciul mirare;
ma raro è chi d’un stecco tal si sgravi.
Esso qui trova dilargarsi un mare
15d’alte delicie, ma di scogli pieno,
sopra il cui lido cominciò a gridare:
— Io mai non scesi dal mio ciel sereno
qui ad esser uomo e, di monarca tanto,
nascer in grembo a povertá sul feno,
20perché, Babel, tu, scelta al maggior manto,
al maggior scanno d’Aròn e di Mòse,
Sodoma fossi (e avesti nome santo!);
non perché, tolta dalle mamme untose
di lupa ingorda e al sommo grado assunta,
25non t’acchinassi meco a basse cose.
S’io, delle grandi essendo colmo e punta,
or son pivi basso di bassezza e vermo,
acciò stii meco del tuo error compunta,
perché va pur deliberato e fermo
30il tuo voler ov’io non voglio, al grado
dal qual trabocchi e caggia senza schermo?