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Non degna il modestissimo Maestro
risponder ad un’alma pertinace.
Foggia non è che spirto tanto alpestro
lentar potesse mai; però sen tace.
Levò quell’arrogante il braccio destro
verso del ciel, giurando pel verace
e vivo Dio, ch’a sé certezza dia
s’egli è Figliuol di Dio, s’egli è ’l Messia.
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Non tacque allora il gran Figliuol; ma, stretto
dal caro amor paterno ed infiammato,
rispose: — Da te stesso, ecco, l’hai detto!
Ma dico il vero a te, popol ingrato,
ch’ancor vedrai de l’uomo ’l Figlio eletto
sedersi del suo Padre al dritto lato,
al qual sopra le nebbie a suon di tromba
si scuopriran chi corvo, chi colomba! —
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A tanto dir quell’ impazzito e fiero,
s’una stoccata in petto avesse tolta,
si ruppe il manto al petto, ch’era intiero,
e con man si feri piú d’una volta:
prodigio aperto, ché del vecchio Piero
la barca fia divisa per la molta
discordia de’ prelati e per la poca
lor fé, ch’ora gelata stassi e fioca!
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Chi giamai vide a la catena l’orso,
ch’abbia di pietra un colpo ricevuto,
arrabbiar di stizza e dar di morso,
forte ruggendo, a l’omer suo velluto?
Non meno Caifa, essendogli concorso
al core, a Pugne il fele conceputo,
cosi graffiossi, che sparti la toga
pontificai de l’empia sinagoga.
T. Folengo, Opere italiane - II.
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